6 giugno 2011

Premio "Provincia cronica" (III edizione - sezione racconti)
Enzo Alfretti - L'ultimo viaggio

Bruno arrivò sudato e stanco dai campi e sulla soglia di casa si trovò faccia a faccia col medico. Nessuno dei due si aspettava d’incontrare l’altro. L’imbarazzo durò solo un attimo perché il dottore era un tipo che, anche nelle situazioni più ingarbugliate, trovava il modo di scivolar via tra le mani come un’anguilla.
«Oh, Bruno, ti devo rimproverare. Tua moglie sta male e tu vai a zonzo senza curarti di lei.»
«Ero al lavoro… non immaginavo…»
«La poveretta ha una terribile emicrania. Meno male che passavo da queste parti.»
«Eh già, meno male.»
Bruno non aveva dimestichezza con quel raffinato strumento del pensiero che è la dialettica; ciò lo metteva in sudditanza psicologica di fronte al dottore, che invece la padroneggiava benissimo. Patetica ingenuità di contadino, per il quale quell’uomo istruito era più duttile di mente, più astuto e quindi temibile. Sopravvalutandolo troppo finiva per subirlo.
Eppure Bruno lo sapeva¸ come lo sapeva tutto il paese, che le troppo frequenti emicranie di Maddalena erano sospette. Lui lo capì per ultimo, come spesso accade in questi casi. Tornava un giorno in anticipo per via d’un temporale che sentì dei lamenti in casa. «Che Maddalena stia male?», pensò preoccupato.
Stava più che bene. Dalla porta appena socchiusa ne vedeva la testa sobbalzare ritmicamente sul divano. Ad ogni sobbalzo un mugolìo e i suoi capelli biondi sembravano colpiti da uno sbuffo d’aria. Del dottore intravvedeva il cranio stempiato solcato da vasi sanguigni rigonfi e contorti. Ogni mugolìo era per Bruno una frustata bruciante come una scottatura. Stette imbambolato fino agli ultimi rantoli rabbiosi e si allontanò di soppiatto allorchè i due si accasciarono di fianco come schiantati da un fulmine. Non disse nulla, non fece nulla. Tutta la sua reazione consistette nel togliere il saluto al dottore.
Che l’ideale di Maddalena non fosse quello di santa Maria Goretti non era una novità. L’avevano fatta sposare a lui proprio perché, non essendo un esempio di preclara virtù, era rimasta a corto di estimatori. Però non intendeva rimanere ostaggio delle sindromi accumulate dal marito nella sua vita repressa e meschina.
Pochi giorni dopo, mentre Bruno ruminava in silenzio la sua minestra amara, Maddalena sbottò:
«Il nostro dottore se ne va; ha ottenuto una condotta in città.»
Bruno pareva non aver sentito, ma dentro di sé faceva le capriole di gioia.
«Vado con lui.»
Tonfo. Silenzio opprimente. Bruno le scrutava i lineamenti con apprensione, illudendosi disperatamente di cogliere un sorriso liberatorio che contraddicesse il gelo dell’atteggiamento; magari una battuta del tipo: «Scherzavo, stupidone! Ci hai creduto?» Invece niente. Una settimana dopo il dottore e Maddalena stiparono le valigie in macchina e partirono, meta una grande e opulenta condotta in città ed una nuova vita.
Bruno avrebbe potuto urlare le proprie ragioni, tentare di fermarla, minacciare; invece non riusciva ad essere abbastanza in collera per farlo. Anzi, con la rassegnazione dei deboli, pensò d’esser lui la causa di tutto.
Rimasto solo, iniziò a comportarsi in modo eccentrico. Tralasciò di mutar d’abito e di lavarsi fino a puzzare come un caprone. Si nutrì a pane, salame e frutta di stagione; in seguito si concesse di ammorbidire il pane con un goccio di vino perché nel frattempo era rimasto senza denti. Preso da una singolare indolenza, soleva indugiare seduto sul gradino della porta di casa, la mente assorta ad immaginare la differenza fra il suo remoto angolino di provincia e la città sconosciuta.
Una sera di fine estate si stava godendo la brezza dopo una giornata afosa. Gli parve di vedere, in fondo alla strada, una figura scura che avanzava. Era il profilo confuso d’un uomo alto e stempiato. Bruno trasalì: man mano che la figura avanzava, i contorni delineavano la sagoma inconfondibile del dottore.
Quando gli fu di fianco sorrise beffardo e si tuffò in casa passando attraverso il muro. Bruno rimase un attimo attonito, incerto fra l’assurdità della visione e la sua concretezza. Poi si concentrò su quel sorriso enigmatico e non ebbe dubbi: era venuto a fottergli la moglie. Afferrò un badile, piombò all’interno ed a colpi di fendente devastò ogni stanza. Se qualcuno fosse stato in casa probabilmente l’avrebbe ucciso a badilate. Allorché fu convinto d’aver messo in fuga il rivale ripose l’arma e si calmò. La devastazione testimoniò inequivocabilmente ai vicini la sua follia.
Tempo dopo, mentre stava falciando il prato, da dietro un albero e senza il minimo rumore, un uomo d’alta statura avanzò e gli passò accanto senza degnarlo d’attenzione. Quando fu davanti alla porta si voltò e fece il gesto del manico dell’ombrello. Bruno gettò la falce, si precipitò addosso al dottore, perché adesso lo vedeva chiaramente ch’era quel maledetto, e tempestò di pugni e calci la porta fino a farsi sanguinare le mani.
Una volta che l’andarono a trovare, investì i parenti di insulti e di minacce. Stavano per voltare i tacchi in tutta fretta quando si accorsero che non parlava a loro, ma a qualcuno che stava dietro. Inutile aggiungere che non c’era nessuno: bisticciava con la propria allucinazione.
Era ormai autunno. Bruno era sdraiato sotto le coperte, fissando il soffitto. Aveva il mal di testa cronico e sonnecchiava sperando invano un bel sonno ristoratore. Provò a tenere gli occhi chiusi, ma non c’era modo di addormentarsi. Aveva la sgradita sensazione di una presenza estranea. All’una dopo mezzanotte accese la luce e si alzò per andare a bere un bicchier d’acqua. Fu allora che lo vide. Sbattè le palpebre un paio di volte. C’era una figura scura, di spalle, seduta proprio in fondo al letto. Gli occhi di Bruno s’illuminarono e gli scappò un singulto isterico: aveva colto sul fatto l’amante di sua moglie. Si alzò di scatto, ma non appena fu in piedi l’intruso era sparito.
Diventò sempre più scorbutico e misantropo. Mal sopportava il contatto con la gente e ad ogni modo la gente non era entusiasta di stabilire contatti. Infine tagliò i ponti col mondo intero. Le rare volte che passava per la strada principale, i cani lo ricorrevano abbaiando. Desistevano solo dopo che qualche calcio ben assestato ne aveva sollevati alcuni da terra; allora si limitavano a ringhiare col pelo dritto sulla schiena.
Per i ragazzi diventò un passatempo andare a vedere Bruno che aspettava il dottore. Talvolta lo canzonavano, al grido di: «Il dottore, il dottore! Eccolo, attento che arriva!»
Gli adulti li sgridavano perché era imprudente schernire quell’uomo nel cui cervello le rotelle non giravano per il verso giusto. Però non manifestò mai alcuna aggressività verso i ragazzi. Stava seduto sul gradino della porta di casa, armato di vanga o di badile, come un assediato pronto a rintuzzare l’assalto di un nemico insidioso.
Ad un certo punto prese ad apparecchiare per due. Per chi? Per il signor Domenico, naturalmente. Il signor Domenico era il padrone della pusion. Bruno era soltanto un povero fittavolo. Ma ora il padrone, non avendo eredi, aveva deciso di lasciare la proprietà a Bruno che la meritava perché era un galantuomo e un gran lavoratore, puntuale nel pagare l’affitto: l’undici di novembre, cascasse il mondo, Bruno era lì coi soldi sull’unghia. Nessuna meraviglia che avesse ereditato la roba: la misericordia premia sempre gli uomini meritevoli. Così s’ingegnava in superbe imbandigioni con i manicaretti preferiti del signor Domenico. Che poi quei manicaretti giacessero inutilmente nel piatto era una cosa che non turbava Bruno più di tanto; come irrilevante era il fatto che il signor Domenico fosse morto da più di vent’anni.
Adesso sarebbe andato da Maddalena e le avrebbe detto:« Sono il padrone!» E lei sarebbe tornata, poco ma sicuro. Chissà che faccia, quel miserabile mediconzolo. Chissà che bocca da pesce lesso nel trovarsi davanti un agiato possidente. Magari avrebbe chiesto scusa, avrebbe invocato pietà, ma Bruno l’avrebbe trattato con freddezza; forse l’avrebbe addirittura schiaffeggiato. No, schiaffeggiato no: un gentiluomo non può sporcarsi le mani. Non che non lo meritasse, però un signor padrone non doveva abbassarsi a tanto. Tuttavia gliele avrebbe cantate a quel pidocchioso strizzabudella; ah, se gliele avrebbe cantate! E Maddalena in lacrime che invocava il perdono avrebbe coronato il suo trionfo.
Bisognava andare in città a recarle la buona novella. Restituita agli animali domestici una libertà inattesa e raccolte poche cose in uno zaino, partì senza indugio. Sfortunatamente il Creatore si era divertito a disseminare quei monti delle asperità orografiche più disordinate e astruse. Cammina in su, in giù, di qua, di là, Bruno perse completamente il senso dell’orientamento. Ammesso che l’avesse avuto.
Avanzando dunque a casaccio, il giorno dopo si trovò sul greto del Po. Era sfinito. Gli facevano male i piedi costellati di vesciche, gli facevano male gli occhi accecati dal riverbero del sole. Non aveva messo in conto un ostacolo del genere. Però la città doveva essere appena al di là del fiume, non c’erano dubbi. Gli parve d’intravvedere la massa disordinata delle abitazioni. In preda all’impazienza, prese a saltellare per alzar la visuale oltre la barriera dei pioppi. Quei movimenti bruschi avevano intorbidito l’acqua. Bruno parve sconcertato.
«Sto sporcando l’acqua! Che schifo, non si potrà più bere. Bisogna pulire…»
Tratto di tasca un cencio lurido, prese a sfregare la superficie dell’acqua con delicatezza.
«Non voglio che Maddalena pensi che sono uno sporcaccione. Non voglio che dica:” Bruno, insozzi tutto quel che tocchi.”»
Aveva già l’acqua al ginocchio. Nell’ultimo sprazzo di lucidità del suo cervello morente si rese conto d’aver di fronte un ostacolo arduo. Eppure bisognava andare oltre. Che difficoltà c’era? Aveva pur guadato il Canapone, quella volta che era in piena e che tutti gli gridavano: «Bruno, non farlo! Bruno, sei matto!» Invece lui, coi trampoli, era riuscito ad attraversare il Canapone in piena; quello sì che era un corso d’acqua pericoloso, non come questo, che pareva una pozzanghera stagnante. Però non aveva con sè i trampoli. Rimase un attimo perplesso. Poi ricordò una cosa che gli aveva raccontato suo padre, riguardo il periodo di guerra.
Gli aveva detto che era sfollato in città per sfuggire ai rastrellamenti della Sicherheit e stava appunto sulla sponda d’un fiume. Un panzer tedesco in ritirata aveva puntato dritto nella corrente ed era scomparso quasi del tutto tra i flutti. La gente applaudiva perché era convinta che il fiume sarebbe stato la tomba del carro e dei suoi occupanti. Incredibilmente la torretta era riemersa gorgogliando e i cingoli s’erano inerpicati con un’inclinazione impossibile sulla riva opposta. Bruno avrebbe fatto altrettanto: puntando dritto nella corrente sarebbe risalito sull’altra riva. Bastavano piede fermo e coraggio.
Camminò deciso verso il Po, ondeggiando ed affondando sempre più, gli occhi fissi sull’altra sponda. Vide Maddalena sull’argine che l’aspettava a braccia aperte; solo che sembrava sospesa in aria. Bruno sorrise. « Andiamo a casa! », le disse. Invece ci andò da solo: alla sua ultima casa. Per un attimo si videro i capelli castani ondeggiare a pelo d’acqua e avanzare verso il gorgo, poi il fiume si rinchiuse sopra di lui.
Il sole è alto e fa tremare l’aria nella calura estiva. I rintocchi ovattati delle campane del duomo chiamano alla Messa. Voci di bambini, lontano. Una gran calma. Tutto è al suo posto, tutto è tranquillo. Maddalena, fasciata in un tailleur nero che vale una cifra di parecchi zeri, s’incammina lenta verso chiesa. Siede in prima fila affinchè le amiche possano invidiare il taglio esclusivo del suo abitino firmato. Confessa i suoi peccati e si pente d’averli commessi. Il sincero pentimento durerà per tutta la cerimonia e forse addirittura fino a sera. Il resto della settimana lo passerà ad accumulare quei peccati che le saranno assolti la domenica successiva. Non sa che il suo Bruno non c’è più. Tanto non gliene importa nulla.

2 commenti:

  1. Mi sembra che il racconto proceda con ritmo affannoso e stile disomogeneo, il contesto e i personaggi mi sembrano piuttosto irrisolti.Ti prende però il senso dolente ella storia.

    RispondiElimina
  2. Mi chiedo se sei in possesso almeno di un diploma. Come fai ad essere così cattivo nei tuoi "limpidi giudizi " mister Anonimo?

    RispondiElimina