10 gennaio 2017

La tragedia dei migranti vista da Brescia: Delaltér de I Luf

La prima cosa che colpisce del disco de I Luf, e non potrebbe essere altrimenti, è il modo in cui veicola il suo messaggio a tutto tondo. Già dal titolo e dalla cover si capisce che Delaltér (sottotiolo Verso un altro altrove) punta a dire la sua sulla tragedia dei migranti, ma è col libretto interno a fumetti che si capisce quanto per la band sia importante far arrivare il proprio punto di vista, e non solo con la musica: contrapponendo al viaggio coi barconi della speranza la folla della metropolitana, ed alle file alle frontiere le code da Mc Donald’s, I Luf prendono posizione riguardo un problema che, ovviamente, non può non essere poi sviscerato nei testi.

Verso un altro altrove (presente sia in versione folk che rock, con quest’ultima che ricorda le atmosfere del film Mediterraneo), Ave Maria migrante, Lampecrucis, Bare a vela, sono queste le canzoni in cui la band scandaglia principalmente la tragedia di chi non ha niente e parte sperando in un futuro migliore, mantenendo l’attenzione sempre centrata sul viaggio piuttosto che sull’altrettanto complicata realtà che si trovano ad affrontare i profughi. Il tono passa dalla speranza della preghiera alla disperazione, acuita dai violini, di Lampecrucis, ma pur rimanendo un album con un’intenzione ed una integrità (ribadita nella ritmata Camminando e cantando, dove frasi come ‘fa chi vuole fare e chi vuol sapere sa’ o ‘in caserma si insegna una antica lezione, di morir per il re e non sapere perché’ si fanno manifesto di una possibile rivoluzione dal basso) Delaltér non è solo questo.
A rallegrare gli animi arrivano così la traccia che dà il titolo all’album e Don Vecare, in cui il dialetto bresciano unito al ritmo fa muovere piacevolmente la testa, senza dimenticare la scatenata Signora dai lunghi pensieri: Questa macchina e La luna le’ na randa mata rappresentano invece i momenti più intimistici e riflessivi, con la seconda che vede scatenarsi la cornamusa. Sterminato il numero degli strumenti utilizzati, compresi alcuni tradizionali irlandesi come il bodhran, accurati gli arrangiamenti, lascia qualche perplessità un cantato più efficace nei momenti di festa che quando si spegne la baldoria. Aggiunge poco il secondo disco acustico che, oltre a riproporre una buona fetta dell’album variando strumenti ed intenzione ma senza ritoccare eccessivamente gli arrangiamenti, aggiunge al lotto dei pezzi altri due brani (O pescator che peschi e Stella clandestina) in cui viene nuovamente scandagliata la situazione dei profughi, nel modo misurato e coerente che già traspare dai brani precedenti.

Un onesto ed accattivante album di folk che, come spesso capita nel genere, si fa anche portatore di un messaggio. I Luf si schierano apertamente, ma alle lacrime sembrano comunque preferire i sorrisi speranzosi di chi, in quell’altro altrove, ci crede e si spera, a rischio di una vita ormai impossibile nel proprio paese d’origine. Un disco per riflettere ed approfondire, perché di domande scomode sul tema possono venirne in mente mille. Stefano Ficagna

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