Fabrizio Testa è un cantautore
poliedrico, che parallelamente alla propria carriera solista porta avanti da
anni il progetto Il Lungo Addio, sorta di vademecum della nostalgia
post-balneare che arriva alla sua seconda uscita “ufficiale” (contando le autoproduzioni
gli album sono addirittura sei, più un sette pollici), attraendo una valanga di
ospiti più o meno famosi (Xabier Iriondo e Bruno Dorella per citarne un paio).
Storie di vita romagnola quando sulla costa si spengono le luci delle
discoteche, malinconia e disillusione che si mescolano ad un’amarezza
sarcastica.
Le sei del mattino, graziata dall’ispirata malinconia della tromba
di Paolo Mei, è la descrizione di un mesto post-sbronza, una caratteristica che
la assimila alla ben più scanzonata Dancing.
Sulla riviera di Fabrizio si trova di tutto, fra ricordi di conquiste mancate
in Una tedesca (con tanto di
orgasmate teutoniche in sottofondo) e nostalgia di eroi perduti come il Pantani
di Residence, bande della Magliana
improvvisate (In tre su una uno) ed
il mare d’inverno di Fuori stagione. A guidare la maggior parte di queste avventure
balneari atipiche è una vena musicale scarna, pochi elementi catturati con in
testa l’estetica lo-fi che vanno troppo oltre in molti casi: ne è un esempio Dancing, sguaiata nel suo incedere che
dimentica per strada qualsiasi dinamica e che non trova forza neanche nel
testo. Perché, al di là di una componente musicale che a tratti ricorda i
Wolfango dell’ultimo periodo autoprodotto, ciò che fatica a funzionare sono
proprio i testi: su otto tracce ben poche funzionano, utilizzando frasi banali
che, se da una parte funzionano nel dipingere la disillusione nello sguardo
dell’autore, dall’altro mancano di una poetica che vada un minimo oltre l’ironia
autocompiaciuta. Un esempio? Riprendiamo Dancing,
dove la frase “incontro ragazze che mi chiedon l’accendino/ per accender
sigarette ancora da fumare” sembra messa lì come riempitivo senza stare a
pensarci troppo. Non va meglio negli altri brani, dove anche musicalmente non
si riesce ad avere particolari scossoni visto che la svolta elettropop della
title track annoia in soli due minuti e venti.
Niente di positivo quindi?
Volendo possiamo salvare per le intenzioni il tributo a Pantani, un minuto e
mezzo occupato perlopiù dalla registrazione di un telegiornale dell’epoca, ma
inaspettatamente c’è anche una piccola perla: l’incalzante Il presidente, unico brano capace di mostrare buona intensità ed
uno sviluppo che, pur rimanendo sulla stessa melodia, si arricchisce di
elementi man mano che passano i secondi. L’unica pecca? Dura poco, troppo poco.
Fuori Stagione è un album
riuscito solo nel suo trasmettere le immagini dello squallore di un posto che
vive solo in una fase dell’anno, ma per farlo si affida a suoni e parole ben
poco ispirati. Non tutti gli approcci debbono per forza essere poetici come
quello dell’uomo che va a prostitute in Via Del Campo di De André, ma qualcosa
di più delle quattro righe buttate a caso su una sedicenne tedesca è lecito
aspettarsele. Forse il pressapochismo è voluto, ma non riesco comunque a
condividerlo. Stefano Ficagna
Tracklist:
1. Le sei del mattino
2. Una tedesca
3. Fuori stagione
4. Dancing
5. In tre su una Uno
6. Il presidente
7. Residence
8. Dentro al blu
Nessun commento:
Posta un commento