9 aprile 2011

PJ Harvey - Let England Shake disco politico appena sufficiente

Oltrepassata la soglia dei quarant'anni, PJ Harvey è diventata artista dalle molte sfaccettature e imprevedibili prospettive. La sua figura forse non sarà mai più centrale come lo è stata in passato: l'epoca reclama interpreti nuovi e diversi, ed è giusto così. Ma tutto lascia credere che saprà condurre una marginalità intensa e staordinariamente peculiare.

Questo profilo si addice molto bene a Let England Shake, disco molto politico e diretto più che in passato. E proprio dalle ballate per piano quasi spettrali di White Chalk (2007), PJ passa con Let England Shake a un sound più marcatamente folk, scelto per raccontare la società inglese di oggi e il rapporto che la cantautrice ha maturato con lei. Un album intellettuale? Assolutamente no: molto più ‘accessibile’ del suo predecessore, questo è un cd eclettico e aperto, capace di affrontare temi seri e complessi con la semplicità di brani come The last living rose e The words that maketh the murder. Non mancano sconfinamenti in campo rock, un campo che Polly Jean domina completamente. E lo dimostra in pezzi come In the dark places e Bitter Branches.
Accompagnata da amici e musicisti di vecchia data – uno su tutti il grande John Parish – PJ Harvey resta salda nel suo ruolo di icona, anche con un disco non esaltante. Un disco dove la disillusione marcia a fianco di un esercito cencioso e sfinito sulla polvere di una terra devastata. Let England Shake è un album dove le parole contano più della musica, come è giusto che sia su un disco che cerca di suturare le ferite di quei soldati spossati, un album che finirà per piacere tanto agli inglesi e un po meno altrove, soprattutto nella nostra italietta dove le concessioni alla melodia e al ritmo contano sempre più di tutto il resto. g.oc.

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