Premessa numero 1: non sono un grande fan dei Tre Allegri Ragazzi Morti. E in tutto questo, premessa numero 2, i Tre Allegri Ragazzi Morti decidono di "cambiare" genere, virando bruscamente verso sonorità raggae che, premessa numero 3, generalmente sopporto con molta e irritante fatica. Mi autoimpongo di non considerare le 3 premesse iniziali e di ascoltare il disco ripetutamente e con imparzialità. Ma non serve forzare nulla, il disco mi incolla. Parla di vite patetiche, vuote, vissute passivamente tra rassegnazione e inesistente reattività. Parla di noi, della società in cui viviamo e del modo in cui la viviamo, subendola in tutte le sue deformazioni, in un mix di accettazione e spento desiderio di reazione e cambiamento. Parla di alienazione, e io, che sto ascoltando il disco in coda in tangenziale, mi sento tirato dentro. Poco conta la musica che ci sta sotto. Forse i fan della prima ora mal sopporteranno il raggae/dub o quel che sia il genere musicale di Primitivi del Futuro, ma le parole, a cui non manca il consueto carico di vena poetica, si appoggiano benissimo sul ritmo in levare e sulle sonorità lontane e un pò nostalgiche ricamate sopra; lo stato d'animo del disco è reso perfettamente, e se provo a immaginarmi qualche schitarrata distorta il senso del disco non mi sembra più lo stesso. Da un gruppo come i TARM è lecito (se non addirittura richiesto) aspettarsi cambiamenti, rinnovamenti e sperimentazioni musicali in ambiti diversi che permettano di non restare imprigionati in etichette e rimanere sempre uguali a sè stessi. E la strada scelta per questo disco è intrapresa con coraggio ma senza presunzione, con "timidezza" ma con determinazione e consapevolezza. Bisogna un pò uccidersi per rinascere e, per citare un verso di questo loro ultimo lavoro, "morire per la vita fa la morte un pò più debole".
Marcello Colombo
Coda lunga
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