2 dicembre 2009

Dave Matthews Band – Big whiskey and the groo grux king

Qualcuno ha detto che il dolore è ‘terapeutico’. Che, cioè, può fungere da detonatore per dare il meglio di sé, per ‘tirar fuori’ tutto quello che abbiamo in modo da esorcizzare un lutto, di metabolizzarlo. Forse è davvero così, e questa potrebbe essere una possibile chiave di lettura per approcciare al meglio quest’ultima fatica della Dave Matthews Band.
Il dolore è quello per la scomparsa del sassofonista ed arrangiatore Leroi Moore (deceduto nell’estate del 2008 a causa delle complicazioni sorte in seguito ad un incidente stradale…); la sua scomparsa come ‘molla’ per ripartire quindi, con in sottofondo (e omaggiato anche sulla copertina del cd) l’ombra dell’amico scomparso a fare da guida.
Avevamo lasciato la Dave Matthews Band (jam band di fama internazionale e autrice di tre ottimi dischi negli anni 90’s culminati nel bellissimo Before these crowded streets del 1998 ma poco nota al grande pubblico di casa nostra) alle poco esaltanti prove in studio degli ultimi anni, con un paio di dischi (Busted Stuff, Stand Up..) oggettivamente privi di ispirazione e che vedevano la band alle prese con una preoccupante stasi creativa., sfociata in album incolori e tutto sommato prescindibili. Il ritrovarli quindi, a distanza di cinque anni dall’ultimo lavoro, in ottima forma è una piacevolissima sorpresa, anche se resa ‘amara’ dalle considerazioni di cui sopra.
L’album si apre con ‘Grux’, breve improvvisazione jazzistica al sax del compianto Leroi Moore, supportato degnamente dal buon Carter Beauford; l’opener è da subito un segno tangibile che questo per la dmb non è un disco qualsiasi (anche il titolo dell’album del resto si riferisce esplicitamente all’amico scomparso, dal momento che Groo Grux era il suo ‘nickname’ all’interno della band)..
Si prosegue con Shake me like a monkey, di fatto il primo ‘vero’ brano in scaletta, pezzo magari non trascendentale ma trascinante il giusto, e che traccia le coordinate dell’intero disco.
Da segnalare ‘Alligator Pie’, un (riuscito) ‘divertissement’ piuttosto atipico per la dmb alle prese con territori non convenzionali - con tanto di banjo! - e caratterizzata da un andamento curioso, vicino al background musicale di un certo Tom Waits. Brani più canonici risultano essere l’esplosiva, arrembante ‘Why I am’ con un carter Beauford in stato di grazia, e ‘Time bomb’, pezzo a due facce che pare scritto dai Pearl Jam… dall’intro acustica, al modo in cui entra il cantato (qui simile come non mai al timbro tipico di Eddie Vedder..) entrambe decisamente apprezzabili.
Le vere chicche dell’album tuttavia risiedono nella solare (a dispetto delle liriche pessimistiche e di deriva ambientalista) ‘Dive in’ ; la bellissima, suadente ballata ‘Lying in the hands of God’ e – soprattutto - nell’energica “Squirm”, traccia caratterizzata da superbi arrangiamenti orchestrarli e che richiama da vicino le atmosfere del loro capolavoro ‘Before these crowded streets’, con tanto di finale ‘arabeggiante’ in calando.
Diciamocela tutta: Big Whiskey... è con ogni probabilità il disco più ‘accessibile’ ed immediato della dmb; non tutti i pezzi del puzzle sono però al loro posto (brani come Seven o la conclusiva You and me sono assolutamente anonimi, per non dire inutili) e mancano quella compattezza d’insieme e quella varietà di scrittura che caratterizzavano il succitato Crowded Streets. Così come, probabilmente, non ci sono nemmeno quei colpi da ko che rispondono al nome di ‘Two Step’, ‘Warehouse’, ‘Ants Marching’, ‘The Stone’.. tutti titoli entrati a far parte della storia del gruppo. Ma per quanto mi riguarda, vale la pena di sciropparsi un loro disco anche fosse solo per sentir suonare quel mostro di Carter Beauford autentico fuoriclasse dello strumento, batterista straordinario quanto essenziale: ogni passaggio merita attenzione, mai due battute uguali, mai sopra le righe…. uno stile sempre elegante e personalissimo (dovuto anche al suo essere ambidestro, probabilmente) che ne fanno a modesto parere di chi scrive un batterista con pochi eguali nel panorama odierno.
Nota a margine: è opinione diffusa, almeno a sentire i ‘detrattori’ della band, che la dmb sia, per definizione, una band da palco, che solo nella dimensione live riesce a dare il meglio di sé, mentre su disco quella carica ‘animale’ rimane inesplosa, con il risultato di suonare un po’ ‘freddini’ ed accademici. Il discorso ha sicuramente un fondamento di verità, inutile negarlo. Ma quando ci sono le songs , e in questo disco indubbiamente ci sono, il risultato è sicuramente degno di nota.
‘Big whiskey...’ segna quindi un graditissimo ritorno, per quanto mi riguarda. Ora non mi resta che riuscire a vederli in azione dal vivo; a quanto pare, pochi mesi di pazienza ancora…
Luca Rancati

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