
Coi Bennet, per fortuna e finalmente, iniziamo a fare un discorso simile anche per l'Italia e invidio i "kids" più giovani che li possono ascoltare in modo più immediato e fruibile rispetto a quell'epoca. Perchè i quattro toscani ( che già suonarono in Disquieted By e Chambers tra gli altri) hanno dato vita ad un gruppo raffinatamente prossemico, capace di esordire con un disco folgorante, una vera cannonata. Tutt'altro che introverse sono per esempio Love at first sight, il singolo "promo" con cui si apre il disco e W is for writing, mentre difficilmente interpretabile nella sua completezza è Confidence. Suonano pesanti in Best e delegano tutto all'indipendenza delle chitarre, nel senso che fanno della divagazione la loro forza. "Bennett" è un lavoro post-tutto, direi, un vero pestone chugga-chugga con suoni moderni ed acclamato da una voce autenticamente viscerale e malinconica, così come malinconiche le suddette divagazioni, addirittura romantiche alle volte, che fanno diventare l'apocalisse doom e sludge pizzicata in quasi ogni pezzo una bazzecola per ubriachi. Il merito dei Bennett è proprio qui: evitare la stigmatizzazione, rendendo il suono un vero e proprio hic et nunc biograficamente culturale. Potrei dire che non mi stupirei se vent'anni fa fossere usciti per Join The Team Player, ma non lo faccio, perchè mi hanno imposto, con il loro disco di debutto, un hic et nunc inviolabile. Infine, "Bennett" si scrive con due "t" ed è nientemeno che il cattivo di "Commando", il film con Schwarzenegger. E non è nemmeno la catena di supermercati che ho da poco scoperto vendere anche cibo. Andrea Vecchio
Nessun commento:
Posta un commento