14 gennaio 2016

La brava Levante in cerca di canzoni per essere indimenticabile

Cosa fa di un disco un bel disco? Le melodie, certo, la bravura dei musicisti (peraltro il set di Levante dal vivo è di assoluto livello), il timbro della cantante, i testi. Ecco, Levante possiede tutte le capacità del caso, ma decide di non utilizzarle. Abbi cura di te è un bel disco? Sì e no. Levante ha l’abilità di riuscire a tenere un piede in due scarpe e comporre canzoni in grado di essere inserite nei palinsesti radiofonici nazionali pur continuando a strizzare l’occhio al panorama indie italiano, in costante (e immotivata) adorazione per lei.

In Abbi cura di te ci sono tante, troppe, canzoni che se fossero state cantante da una fuoriuscita dai talent non sarebbero state degnate di un ascolto dal belante popolo indies. Levante, dopo il successo del suo primo disco, raggiunto senza scorciatoie, è riuscita a guadagnarsi il rispetto del pubblico più selettivo e scontroso. Il disco si apre con Le lacrime non macchiano, brano che musicalmente potrebbe essere inserito nella discografia dei Modà senza sfigurare. Fortunatamente si prosegue con il singolone Ciao per sempre, brano semplice, orecchiabile, ben strutturato e composto, in grado di echeggiare nella mente per mesi e mesi senza stancare.  Il miglior pezzo dell’album; anzi, probabilmente il suo miglior pezzo fino ad oggi. La title track Abbi cura di te avrebbe potuto vincere il festival di Sanremo. Valutate voi se sia un bene o un male. I momenti leggeri sono senza dubbio migliori di quelli strappalacrime: le scacciapensieri Caruso Pascoski e Pose plastiche, o la folk Contare fino a dieci, si lasciano ascoltare con piacere, disconnettendo il cervello dei problemi quotidiani per qualche minuto. In fondo il pop è questo. Il momento più infelice del disco è Lasciami andare, tentativo fallito di cavalcare la moda elettro-pop, con una base debole che sa di già sentito. Ma il problema di fondo di questo lavoro è la mancanza di freschezza che caratterizzava il primo album e soprattutto la debolezza di testi che non sono in grado di graffiare, scalfire o anche solo sfiorare l’anima dell’ascoltatore. Un disco che punta ad esser niente più che un cotta estiva, da dimenticarsi in fretta in attesa del vero amore. Giuseppe Musto

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