19 gennaio 2016

Giorni Usati è il nuovo disco di Michele Anelli, ex frontman dei Groovers

Giorni Usati è il nuovo album di Michele Anelli, uno che gira l’Italia dal lontano 1989 ovvero l’anno in cui fonda i Groovers, band scioltasi da alcuni anni dopo un ventennio di condivisione musicale. Una carriera multiforme che lo ha visto alternarsi fra libri (l’ultimo, Radio Libertà, attraverso la storia dell’omonima emittente biellese fa un sunto di ciò che le radio libere hanno rappresentato nei tumultuosi anni settanta), band e progetti musicali in solitaria, anche se questo nuovo disco è a tutti gli effetti l’esordio da solista (il precedente album del 2014 era condiviso con la band pavese Chemako). Melodia e grinta che si alternano nei dieci brani che compongono l’opera, con qualche aggiunta spiazzante a mischiare le carte.

La grinta Michele la tira fuori fin dalla prima traccia Lavoro senza emozioni, in cui contrabbasso e batteria dettano un ritmo coinvolgente che viene solo in parte scalfito da un utilizzo esasperato del vocoder e da una struttura fin troppo ripetitiva, ma è Adele e le rose a lasciare le migliori sensazioni per quel che riguarda il lato più rock dell’album: introdotta da un giro d’organo che entra subito in testa la traccia funziona anche nei suoi ritornelli tranquilli, e si concede un finale strumentale in cui ogni strumento riesce a risaltare. D’altra pasta invece una canzone come Giulia, morbida e sensuale ma con pochi sussulti lungo i suoi poco meno di quattro minuti di durata, traccia che lascia intravedere un’insospettabile legame con Battisti avvalorato dalle fasi iniziali di Gospel. Quest’ultima, coerentemente col titolo, lascia spazio da metà brano al clapping ed all’incrocio di voci, spiazzando abbastanza ma con un effetto piacevole. Non è questa l’unica digressione verso orizzonti musicali diversi da parte di Michele, che conclude l’album con le atmosfere placidamente jazzistiche della title track riuscendo ad allargare lo spettro sonoro e sfoderando qui la miglior performance musicale ed interpretativa. C’è spazio anche per un doppio omaggio in Cento strade, uno volontario a Peppino Impastato (parte di una sua poesia trova spazio nelle strofe) ed uno, chissà se involontario o meno, ad un Finardi che Michele evoca piacevolmente con un modo di cantare più enfatico.
Non tutto funziona nel disco, va detto. Leader recupera efficacemente l’andamento poco incisivo con una parentesi a base di synth ed archi da applausi, alla rockeggiante Tu sei me non riesce però lo stesso gioco con l’assolo convulso d’organo che parte a metà del pezzo. Alice spreca un buon potenziale dato dalla ritmica funky e dall’innesto della tromba a causa di ritornelli che rallentano troppo l’andamento generale, Eco merita invece un plauso per l’arrangiamento ma tarda forse troppo ad alzare il tono, vista la drammaticità con cui gli archi ammantano il finale.
Un buon disco questo di Michele Anelli, capace di variare il tiro con operazioni quasi azzardate riuscendo a cavarsela col mestiere ed un’indubbia perizia tecnica. Testi che non sono riusciti a coinvolgermi abbastanza nonostante premesse importanti (Giulia nasce dall’esigenza di raccontare i dolori provocati dall’amianto) ed alcuni brani ben confezionati ma privi di pathos sono i difetti principali che posso imputare a Giorni Usati, peccati forse veniali ma che stonano comunque al cospetto di una carriera così lunga e piena di soffisfazioni. Stefano Ficagna.

Tracklist:
1.       Lavoro senza emozioni
2.       Leader
3.       Adele e le rose
4.       Alice
5.       Giulia
6.       Gospel
7.       Eco
8.       Tu sei me
9.       Cento strade

10.   Giorni usati

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