17 giugno 2015

Muse: nel nuovo Drones non riescono a sconfiggere "la cospirazione"

Di certo non è un drone telecomandato questo nuovo album dei Muse, intotolato Drones ed uscito per Helium-3 / Warner. E' imprevedibile ed emotivo come soltanto un umano può essere. Nel bene e nel male. La svolta hard rock risente del contributo dello storico produttore degli AC/DC, Mutt Lange. Notevole la copertina dell'illustratore Matt Mahurin. D'obbligo la menzione d'onore per il comparto tecnico, come sempre italianissimo, a partire dalle registrazioni, effettuate da Tommaso Colliva (Ministri, Calibro 35, Dente, Luci della centrale elettrica, ecc.), che è anche coproduttore del disco. Anche il mastering è italiano ed affidato a Giovanni Versari, direttamente dai navigli di Porta Ticinese.

Due parole sui contenuti: in un certo sento i Muse hanno fatto bene a delineare in un vero e proprio concept album la loro visionaria ossessione geopolitico-ambientalistico-grillino-complottista. Fanno bene perché ci credono sul serio, e quando Bellamy in Mercy chiede pietà lo fa in un modo che colpisce e tocca il cuore. Vale la pena anche di narrare la storia, in due righe: il protagonista è svogliato e morto dentro e per questo diviene attaccabile dalle oscure forze che tentano di massificarlo e farlo diventare un drone controllabile a distanza. Ascoltando un discorso di JFK (secondo i complottisti l'unico Presidente USA non massone e per questo ucciso) trova la forza di opporsi al triste piano in cui è inserito e a costo di enormi sforzi ce la fa, si salva pure, ma a che prezzo? La conclusiva nenia funebre non lascia infatti spazio ad un lieto fine. In merito alla bontà della storia ognuno faccia le sue considerazioni. Parliamo ora della musica. L'album parte subito senza introduzioni e senza fronzoli, con Dead inside. Rock potente, scarno, ma subito si intuisce che i successivi strati sonori sono pronti a comparire di lì a poco, e lo fanno dopo due minuti e mezzo precisi. Siamo di fronte ad un disco scarno (in stile AC/DC) solo superficialmente, perché in realtà basta poco per accorgersi che è solo un trucco. Ci sono mille layer sovrapposti, con quella iperproduzione che da sempre contraddistingue la band, stavolta portata ancor più agli estremi con la pretesa di ingannare l'ascoltatore. Narrativamente e musicalmente Dead inside è una sorta di antefatto (il finale tra l'altro si ricollega forse volutamente alla Madness dell'album precedente), perché la vera e propria storia comincia dopo. L'inizio, come detto, sorprende (in negativo o in positivo? Difficile dirlo), ma Psycho ancora di più, con un riff già ascoltato in qualche milione di canzoni, che qualunque band emergente avrebbe scartato a priori, e sul quale invece i Muse costruiscono un vero e proprio singolo, con una mossa che su tutta la faccia della Terra risulta credibile solo se fatta da loro. Mercy è emotivamente toccante e sarebbe un bel brano se non esistessero i Coldplay e se gli stessi Muse non avessero fatto già anni fa la stessa cosa con Starlight. Incomprensibile il perché di un brano come Reapers, strano omaggio al rock capellone anni '80 di band quali i Mr. Big, oggi tremendamente fuori moda, e con un Bellamy che può imitare Paul Gilbert solo superficialmente. Ci son più scale e arpeggi qui che nella mitica scena degli Aristogatti. Per il resto, chitarre e cori da Queen in Defector, il peggior ritornello di sempre in Revolt e una quanto mai dubbia similitudine chitarristica tra Aftermath e One degli U2. In tutto il disco ci son dei momenti in cui i giri chitarra / basso / batteria sono ben rodati, in pieno stile power trio di derivazione Nirvana. Massima stima per Bellamy e Wolstenholme che tanti anni fa contribuirono alla moda dell'uso sovrabbondante di effettistica distorta per chitarra e basso, ma sarebbe ora di metterci una pietra sopra, perché certi suoni sono anacronistici. Il coro funebre finale di Drones è un esperimento che forse non era il caso di mettere su disco. Anche i Muse sbagliano, per fortuna. Sono umani e se non si abbattono possono continuare a sconfiggere i droni (anche perché ci piacerebbe il lieto fine che qui è mancato).
Marco Maresca

Tracklist:
1. Dead inside
2. [Drill Sergeant]
3. Psycho
4. Mercy
5. Reapers
6. The Handler
7. [JFK]
8. Defector
9. Revolt
10. Aftermath
11. The Globalist
12. Drones

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