19 gennaio 2015

I Thegiornalisti fanno parlare di sé e convincono con Fuoricampo

Sono uno che arriva spesso in ritardo sulle cose, altre volte in anticipo, ma raramente puntuale: così, mentre la maggior parte dei siti segnalava Fuoricampo dei Thegiornalisti come uno degli album dell'anno, io mi ero limitato ad un ascolto veloce e disattento che, in tutta onestà, non mi aveva convinto. Fortuna vuole che mi sia stata data l'opportunità di concedere più tempo all'ascolto di questi 10 brani, e dopo avergli dato il giusto spazio nell'incasinato tetris del mio tempo libero mi sono ritrovato ad ammettere che c'è molto di più nella musica dei Thegiornalisti rispetto a quanto avessi colto al primo impatto.

Ciò che emerge subito, ed è un'impressione che non scompare col tempo, è il debito sonoro con gli anni '80: patinati come una commedia italiana di quegli anni, i Thegiornalisti si distinguono da questo paragone non esattamente lusinghiero (almeno per il sottoscritto, anche se bisognerebbe fare dei distinguo nel genere) per una cura negli arrangiamenti che emerge nonostante la semplicità dei brani (ascoltare il drumming di Proteggi questo tuo ragazzo ad esempio) e per un'ottima prova vocale di Tommaso, che in più di un punto ricorda Dalla (e scopro, guardandomi intorno on the net, che non sono l'unico ad aver avuto questa impressione), soprattutto quando si mette a parlare di “tette sudate” e “mani sul culo” in Promiscuità con una naturalezza che ricorda il Disperato erotico stomp dello scomparso cantautore bolognese. Da questo strano miscuglio di influenze nascono così pezzi che attendono solo di farsi cantare come l'ariosa e poetica Per lei, l'ironica e ritmata  Aspetto che, le malinconiche Mare Balotelli e Fine dell'estate (in cui il testo non fa che acuire questa sensazione), condita quest'ultima da tastiere quasi barocche, e la progressione ripetitiva della trascinante Insonnia, probabilmente il brano migliore del lotto con la sua atmosfera particolare ed incisiva. C'è anche però qualche difetto qua e là, e se alcuni dei brani più tranquilli stentano a decollare (in particolare l'eterea L'importanza del cielo) è più una certa ripetitività dei testi che fa storcere il naso: in brani come la conclusiva Socializzare e la già citata Aspetto che il difetto viene mitigato da un'atmosfera sonora che coinvolge, più difficile non stancarsi all'ascolto di una Balla che nei ritornelli perde di mordente e nelle strofe esaspera il difetto appena evidenziato.

Fuoricampo è un disco che convince man mano che si va avanti con l'ascolto, di quelli che ci si ritrova velocemente a canticchiare sotto la doccia. Non tutto funziona, e a volte sono i testi meno incisivi a stamparsi nel cervello, ma non si può non dare merito alla band romana di aver creato una bolla temporale tipicamente anni 80 che non sembra così anacronistica anche trapiantata nella scena musicale di trent'anni dopo: non certo uno degli album migliori del 2014 per il sottoscritto, ma un buon ascolto personale per questo inizio di 2015. Stefano Ficagna

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