7 gennaio 2015

Bravo Fiumani. Credevi di farci ridere e ci hai fatto commuovere, con Un ricordo che vale dieci lire

Federico Fiumani che omaggia il bel canto e le belle canzoni dei tempi che furono. Uno scherzo? No, nelle intenzioni dell'artista e sorprendentemente anche nel risultato. "Se nel '77 non ci fosse stato il punk avrei provato a fare canzoni come queste, ma siccome c'è stato, vi dovete accontentare di un cantautore punk", dice lui. Un ricordo che vale dieci lire, nato su Musicraiser grazie ai sostenitori, è un album lontano dalle logiche discografiche. Il leader dei Diaframma ha inaspettatamente compiuto non uno ma undici passi al di là della propria zona di comfort, non con il rischio ma con la totale certezza di ricevere feroci critiche, eppure il suo disco di cover splende contro ogni pronostico.

Fiumani di questo disco è interprete canoro. Di quasi tutto il resto si occupa Alessandro Grazian (che già si fece le ossa su Tenco), il quale chiama i collaboratori e amici Giambattista Tornielli (violoncello), Nicola Manzan (violino) e Antonio "Cuper" Cupertino (percussioni e cori), e crea orchestrazioni minimali che richiamano i tratti distintivi dei tessuti sonori dei brani originali. Tutto è strutturato in modo da mantenere sempre in primo piano la voce. Laddove nell'originale ci siano code strumentali o barocchismi da studio di registrazione (un esempio su tutti: ...E penso a te di Battisti) questi vengono ridotti ai minimi termini, accorciati, troncati. Gran parte delle canzoni risulta quindi di lunghezza inferiore all'originale (sebbene la durata dei classici italiani sia già limitata di per sé, come si sa). L'importante sono le parole. I poetici ed ancora attuali testi del cantautorato classico vengono presi in prestito dal leader dei Diaframma, che della violenza interpretativa ha fatto il proprio tratto distintivo. Eppure l'accostamento funziona. Si parte da Souvenir di De Gregori, che in poco più di due minuti riesce a dare l'idea di cosa si andrà ad ascoltare. La parte strumentale è minimale ma curata, mentre la voce scandisce ogni singola parola del De Gregori più ispirato. Si prosegue con Quando ero soldato, originariamente interpretata (ma non scritta) da Lucio Dalla, nella quale Fiumani scalpita e a tratti urla, rendendo evidente il messaggio di rifiuto dell'omologazione. Lontano lontano, eterna ballata di Luigi Tenco, è un contrasto allucinato, surreale, tra la finezza dell'arrangiamento e il cantato sguaiato, stonato, ma pur sempre appassionato del nuovo interprete. Non si scherza più. Donna di fiume, di per sé una delle più belle canzoni italiane di sempre, ad opera di Claudio Lolli, è reinterpretata in un modo che (sembra assurdo dirlo, ma è vero) la fa splendere ancora più dell'originale. Fiumani e Grazian hanno lavorato bene: c'è un bel tentativo di orchestrazione che suggerisce, nell'introduzione, l'emotività dell'originale, dopodiché la parte musicale diventa minimale e lascia parlare la voce. Fiumani canta Donna di fiume come se fosse la storia della sua vita e del suo rapporto con le donne, con un'intensità interpretativa che fa perdonare qualsiasi carenza nell'uso della voce. Lacrimuccia assicurata per chiunque abbia un briciolo di cuore. Lo scapolo di Paolo Conte parla di chi vive da eterno amante. Il cantante mostra di saper cogliere il messaggio, anche qui con particolare attenzione all'espressività delle parole nel cantato. ...E penso a te viene tolta di tutti gli orpelli grazie ai quali Battisti sopperiva alle carenze vocali. Due cantanti imperfetti a confronto, con il compito di Fiumani reso più difficile dal sottofondo musicale portato ai limiti del minimale. Renzo Zenobi, autore mai abbastanza ricordato (benché tuttora in vita ed in attività), viene simpaticamente omaggiato in Danze, erre moscia compresa (geniale!). Io che amo solo te di Sergio Endrigo è quanto di più lontano dalle canzoni dei Diaframma. Ci si commuove ancora, quindi, quando il cantante tira fuori una sensibilità mai nemmeno ipotizzata. Ne salta fuori la seconda perla del disco, dopo Donna di fiume (insuperabile). Strana, invece, la scelta di Mai di Giuni Russo, anche un po' zoppa melodicamente e ritmicamente, ma comunque apprezzabile per l'intento. In Incontro di Guccini, Fiumani sceglie di esaltare le parole senza porre attenzione sulla erre moscia dell'originale, optando quindi per una soluzione diversa da quella utilizzata per Zenobi. Si chiude con Un giorno credi di Bennato, che sul finale viene trattata come una canzone dei Diaframma, con Fiumani che lascia esplodere la voce, esaltando il leggendario crescendo dell'originale. Mai ci saremmo aspettati di tessere le lodi di un'operazione discografica del genere. In un'epoca in cui i dischi vanno e vengono, speriamo che di questo omaggio ai classici rimanga per lo meno il ricordo della cover di Donna di fiume. Basterebbe. A Fiumani e Grazian vanno i vivissimi complimenti per come è stata gestita a livello interpretativo e musicale tutta l'operazione. Marco Maresca

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