Il tempo per i Manic Street Preachers sembra non passare davvero mai, a giudicare dall'energia e passione che mettono in ogni cosa che fanno.
Questa volta sono volata a Londra per quello che sarà il loro ultimo concerto, almeno un paio d'anni (e poi chissà...). I tre gallesi hanno scelto l'enorme O2 Arena, 20.000 posti tutti esauriti, per celebrare i loro ventanni di carriera con un evento lungo 38 singoli: dagli esordi di Motown Junk al presente di Postcards from a young man e This is the day (cover dei The), eseguiti non in ordine cronologico e separati da un intervallo. Non un semplice concerto quindi, ma un vero e proprio evento che chiude una parte di storia della band e lascia tanti interrogativi sul suo futuro. Sono tantissimi i fan che indossano boa di piume, vestiti leopardati e coroncine, divise militari o magliette create con vernice spray, riprendendo i look che la band ha attraversato durante gli anni, una fanbase devota e molto variegata.
Quando l'enorme sipario argentato si apre, sul palco arrivano James Dean Bradfield, Sean Moore e Nicky Wire, volto e mente della band che durante la serata non risparmierà le sue storiche frecciate “Mi sono sfasciato una spalla suonando Revol, forse dovrei fare un po' di yoga o pilates come fanno quei cazzo di Coldplay!”
In un evento di questa portata c'è posto anche per due ospiti d'eccezione: Nina Persson dei Cardigans e Gruff Rhys dei Super Furry Animals, che interpretano rispettivamente Your love alone is not enough e Let robeson sing. Anche quei brani raramente interpretati dal vivo dalla band come So Why so Sad o il singolo There by the grace of God sono stati accolti con entusiasmo.
Ad arricchire la serata, alcuni aneddoti raccontati dal cantante e dal bassista dei Manics, sulla genesi di canzoni come Suicide is painless, e naturalmente il “fantasma” di Richey Edwards che aleggia senza sosta. Il chitarrista e liricista scomparso nel 1995 e mai dimenticato dai suoi tre amici, è presente in rare immagini proposte su di un maxischermo, e nei ciliegi sul palco composti da luci rosa che nella cultura giapponese simboleggiano la fragilità della vita umana.
I pezzi più osannati sono naturalmente If you tolerate this your children will be next, Faster, Motown Junk, Motorcycle Emptiness. C'è anche posto per una frecciata a Silvio da parte del cantante James: “Berlusconi ci sarebbe stato proprio bene in questa canzone, vero?!” riferendosi a Revol, brano che descrive le difficoltà affettive e le depravazioni sessuali di famosi uomini politici.
Come sempre i Manics chiudono con il meraviglioso inno alle loro radici proletarie, A Design for life, cantato in coro dal pubblico dell'arena, interamente in piedi per salutare la band. Come sempre i Manics non concedono alcun bis, ma Nicky Wire nella sua migliore tradizione distrugge il suo basso sul palco. Forse è semplicemente un arrivederci, forse è un addio. Diana Debord
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