Terza fatica per gli Artic Monkeys, un disco questo Humbug che è una sorta di vetrina di stili e generi diversi. Come una vetrina di un grande magazzino, propone molto e valorizza poco, così non prosegue il goloso filone dei primi due album (Whatever people say I am, that's what I'm not e Favourite worst nightmare) e la musica degli Artic diventa improvvisamente insipida e confusa. Ci sono richiami assai diversi, molto brit rock, con eco agli Smiths, agli Xtc, perfino a Jim Morrison, come in Potion approaching, poi una spruzzata di grunge, un po' di pop che non sembra guastare mai. Ma in fondo è questa 'anima' confusa e non più inqueta a far sì che gli Artic Monkeys non brillino più come un tempo. La fiamma si riattizza solo di tanto in tanto e così non si possono non segnalare episodi comunque di livello, come Pretty visitors o il bel singolo Crying lightnings. Roberto Conti
Gli Artic Monkeys non hanno avuto bisogno del terzo fatidico disco per mettere d’accordo critica e pubblico, ci sono riusciti con i primi due. Quindi nell’ultimo album si permettono libertà artistiche ed espressive tipiche di chi non deve più affannarsi per dimostrare il proprio talento.
Humbug è una sintesi delle influenze del rock, d’oltemanica e non, migliore degli ultimi trent’anni; un lavoro pieno e robusto, che sembra voglia eccedere dalle dieci tracce che lo compongono. Merito anche della produzione di Josh Homme (Queen of the stone age) e di James Ford (Arcade fire) i quali hanno dato alla band un tocco meno frenetico e più selvaggio.
Tra i brani migliori spiccano senz’altro My propeller, Dance little liar, dall’inconfondibile Last shadow puppets touch, Pretty visitor e soprattutto il singolo Crying lightnings, un capolavoro assoluto, irresistibile e martellante il cui “adagio” compulsivo “your pastimes consisted of the strange, the twisted and derange, and I love that little game you have called Crying Lightnings” è pericolosamente contagioso! Mauro Carosio
Nessun commento:
Posta un commento