11 maggio 2011
30 anni fa moriva Bob Marley indiscusso re del reggae
«I soldi non comprano la vita». Con queste parole, rivolte al figlio Ziggy, l’11 maggio di 30 anni fa il re del raggae Bob Marley si congedava dalla sua esistenza terrena. A portarselo via è stato un cancro alla pelle, curato in maniera solo parziale, a causa della sua religione che impedisce le mutilazioni. Da allora riposa in una mausoleo a Nine Mile, il villaggio giamaicano che lo ha visto nascere, nel 1945.Nella tomba ha voluto portare con sé: una pianta di marijuana e i suoi semi, un pallone da calcio, una Gibson Les Paul “Solid Body”, una Bibbia e un anello ricevuto dal principe etiope Asfa Wossen. Tutti oggetti che simboleggiano, in un modo o nell’altro, le passioni che lo hanno accompagnato nell’arco della sua intera vita. Da quando, bighellonando per i sobborghi di Kingston, insieme a Neville O’Riley Livingston (noto come Bunny) passava il tempo ascoltando il bluse e il rock americano da una vecchia radio, cercando poi di riprodurre quei suoni con ’chitarre artigianalì assemblate con corteccia, bambù e fili elettrici. Bob si trasferì nella capitale caraibica dopo che il padre, bianco, lo abbandonò insieme alla madre, nera. «Mio padre - dirà qualche anno più tardi - era come quelle storie che si leggono, storie di schiavi: l’uomo bianco che prende la donna nera e la mette incinta». Fin da piccolo quindi, anche a causa delle sue origini etniche miste, conobbe la violenza e i pregiudizi razziali che, ancora oggi, infiammano Kingston. Grazie all’amore per la musica, e alla devozione verso il Rastafarianesimo, a cui si era convertito, riuscì tuttavia a sopravvivere, mostrando fin dalla prima adolescenza uno spiccato talento musicale. Nel 1962, all’età di 16 anni, Bob registrò i suoi primi due singoli. La sua attività da musicista professionista, comunque, ebbe inizio due anni più tardi, quando insieme a Bunny fondò la band The Wailers.Ancora oggi è considerato l’indiscusso re del reggae, il genere musicale nato dalla contaminazione dello Ska giamaicano con il sound statunitense, che Bob ebbe il merito di portare nel mondo. La consacrazione internazionale del genere avvenne, infatti, quando nel 1973 Eric Clapton produsse una cover del brano degli Wailers, “I Shot the Sheriff”. Dopo quasi mezzo secolo le sue ritmiche in levare vengono ormai applicate per ogni tipo di contaminazione, dalla musica elettronica al pop, passando per il rock italiano. Ne hanno fatto uso, per esempio, Vasco Rossi e Loredana Bertè, in diversi loro successi. Nel 1975 Bob lasciò Bunny, iniziando la sua carriera solista. Quello stesso anno irruppe nel mercato uno dei suoi brani più celebri, “No Woman, No Cry”. Da quel momento ogni sua produzione ha irrimediabilmente conquistato, e mantenuto per settimane, le vette delle classifiche di mezzo mondo.Non meno importante è stato il suo impegno politico, da lui visto però quasi più come una vocazione spirituale, pacifista ed ecumenica che come una ideologia. «Emancipate voi stessi dalla schiavitù mentale -cantava in “Redemption Song”-, nessuno a parte noi stessi può liberare la nostra mente». Forte fu il legame con l’Africa, come Fela Kuti e Malcom X, sognava l’unione del popolo nero, per una nuova era di libertà.Nel ’78 ricevette, a nome di 500 milioni di africani, la medaglia di pace dalle Nazioni Unite. Due anni dopo partecipò, inoltre, alla celebrazione dell’indipendenza dello Zimbabwe, ma non si dimenticò mai dei ghetti in cui era cresciuto. Fino alla fine si è battuto per la cessazione delle violenze a Kingston, pagandone le conseguenze. Nel 1976, qualche giorno prima dello “Smile JamaicA”, un concerto allestito per attenuare le tensioni tra le diverse fazioni politiche giamaicane, Bob e la moglie Rita vennero feriti nel corso di una spedizione punitiva attuata contro di loro.Bob però cantò lo stesso. «Le persone che cercano di far diventare peggiore questo mondo -disse- non si concedono un giorno libero. Come potrei farlo io?» Nel corso di un altro concerto, organizzato per gli stessi motivi pacifisti dello “Smile JamaicA”, nel ’78 Marley riuscì addirittura a far incontrare sul palco i due leader politici rivali, Michael Manley ed Edward Seaga, e a fargli stringere la mano.Prima di morire in un ospedale di Miami, Bob riuscì ad esibirsi anche in Italia, dove, il 27 giugno dell’80 suonò allo Stadio San Siro di Milano, davanti a una folla di 100mila persone. Nonostante giornali e Tv, ancora oggi, non facciano altro che marcare l’argomento, il musicista però, pur non nascondendolo, non ostentò mai il suo uso di marijuana.Per lui era un’abitudine naturale, che proveniva dalla sua cultura etnica e religiosa. Anche se tale pratica nel 78, a Londra, gli costò un arresto. «Coltivare erba non è legale? Se è Dio che ce l’ha data -ha detto ironicamente una volta- allora vuoi dire che anche Dio non è legale?» Oggi la musica di Bob continua a vivere, oltre che nelle tante registrazioni che il cantante ci ha lasciato, anche nelle esecuzioni di tre dei suoi 13 figli. Ziggy, Stephen e Damian, infatti, continuano la tradizione musicale del padre con la loro band, i Melody Makers. r.co.
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