Nati nel 1980 I Depeche Mode attraversano tre decenni fedeli alla loro linea melodica, senza rischiare inutili innovazioni, pur rimanendo al passo coi tempi.
Sounds of the universe, il loro ultimo album, è quello di una raggiunta maturità artistica, che non ha paragoni con i lavori precedenti.
Difficile da digerire al primo ascolto, come tutti i capolavori, dentro è racchiusa tutta la loro storia trentennale.
Forse è un disco in cui manca un’immediatezza o quel brano in grado di rendere il tutto facilmente fruibile, certo c’è Wrong, il singolo che spacca, ma nell’intero lavoro quasi si perde.
Questo succede perché, dopo ripetuti ascolti, ci si accorge che Sounds of the universe è un album di altissimo livello, con un numero strepitoso di brani di forte impatto, quasi tutti potrebbero diventare dei singoli da urlo.
In chains è spiazzante: un minuto e venti di intro, per poi rimanere abbandonati quasi nel silenzio, fino a quando Dave Gahan ci prende per mano e ci accompagna in un luogo rassicurante.
In questo pezzo, che fa da apripista, si sente la presenza costante di Martin Gore, mai così forte nella storia del gruppo.
Hole to the feed arriva subito dopo come un macigno, quasi con cattiveria; i Depeche Mode ci sono, e sono arroganti, la scrittura di Dave Gahan è al meglio e la sua voce è sicura e determinata, stessa cosa succede per la successiva Miles away.
Su Wrong non c’è nulla da dire, è una violenza, uno strappo storico per i Depeche Mode: ci si aspettava una nuova Enjoy the silence , I feel you o Precious e invece ecco un singolo accompagnato da un video che è ansia allo stato puro.
Fragile tension è forse il brano che più si avvicina alle sonorità di Playing the angel, immediato, lineare e di facile ascolto.
Little soul è una canzone delicata, di quelle che ci si aspetterebbe cantate da Martin Gore ed invece è cantata a due voci insieme a Dave Gahan, suoni, morbidi, dolci, ma non scontati. Il livello di scrittura di Gore è strepitoso, Little soul è più intrigante rispetto a episodi simili, sicuramente migliore rispetto a The darkest star o When the body speak ; siamo da quelle parti, ma con una marcia in più, una leggerezza di armonia e voci che non ha eguali.
E dopo la delicatezza ecco il lato più pop dei Depeche Mode con due ottimi brani: In simpathy e Peace. Entrambi orecchiabili e quasi dance, in cui sono stati ripresi molti suoni della prima parte dalla carriera del gruppo, tornano gli anni ’80 riattualizzati in maniera eccellente.
Segue Come back scritta da Gahan, interpretazione mozzafiato e intensa.
Spacewalker è un intermezzo musicale non particolarmente interessante, ma nel complesso non stona.
Perfect è un pezzo incalzante, lineare, che si inserisce perfettamente nel contesto pur non essendone la punta di diamante.
Miles away è un altro brano scritto da Gahan ed è un’altra potenza: diretto come un cazzotto in pieno volto, quì si avverte una maggiore sicurezza e consapevolezza da parte del front man dei Depeche Mode. Ascoltare Miles away e come sentire Gahan dal vivo: pieno, forte e completo con tanto di urlo finale che da ulteriore smalto all’interpretazione.
Jezabel è l’unica canzone dell’album cantata interamente da Martin Gore: in questo caso sarebbe forse stato meglio puntare su una produzione diversa, meno invadente, la presenza di Ben Hiller è quasi soffocante ed è un peccato.
Siamo al finale col botto! Corrupt è uno dei momenti migliori di questo lavoro: accattivante e immediato induce l’ascoltatore a saltare sulla sedia e cantare a squarciagola. Conclusione degnissima, potrebbe durare anche quarantacinque minuti e nessuno avrebbe da obbiettare.
In definitiva, Sounds of the universe è un disco complesso, meno immediate rispetto al precedente Playing the angel, ma molto più completo.
Tra le cose positive, sicuramente si nota una maggiore maturità di Dave Gahan come autore, che porta di conseguenza una maggiore sicurezza al front man.
Una ripresa di quei suoni che i fan dei Depeche Mode hanno amato e una grande energia dove, queste vecchie glorie in splendida forma dimostrano di avere ancora tanto da dire.
Mauro Gianmoena e Mauro Carosio
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