Dario Brunori rischiava di essere ormai più milanese che cosentino. Con tutto quello che ne conseguirebbe: le paure, le ansie, la perdita della serenità e del sorriso. Un po' come accade a tanti studenti fuori sede o, meglio, lavoratori fuori sede, data l'età. Chissà cosa rispondeva quando qualcuno gli chiedeva se a casa andasse tutto bene. Chissà cosa intendeva per casa. Forse un posto dove appendere la giacca, come nella copertina dell'album (non il cappello, però, sempre a quanto emerge dalla cover). Questo posto, almeno per il tempo riservato alla registrazione del disco, Brunori l'ha trovato vicino alla sua terra natale, in una masseria sull'Aspromonte, nella quale l'"azienda" Brunori Sas ha registrato il nuovo disco, intitolato proprio A casa tutto bene ed uscito per Picicca.
Le nuove modalità espressive della band lasceranno un po' sotto shock chi associa Brunori allo scanzonato menestrello dandy degli esordi. E' un disco serio, in tutti i sensi. La produzione si è evoluta, grazie all'apporto di Taketo Gohara, e i suoni si sono ulteriormente stratificati. Nell'album convivono gli influssi sanguigni dei ritmi
della Calabria e i suoni sintetici e freddi della metropoli. Le mandole del ‘700 mischiate ai sintetizzatori. Le tessiture orchestrali, i loop, le drum machine. E questo per quanto riguarda la parte musicale, perché poi, come sempre nei dischi targati Brunori Sas, una parte fondamentale si gioca sui testi e sull'autorevolezza dell'interpretazione vocale. Una voce che però non è più quella di un giocondo menestrello. Una voce seria, riflessiva, che si fa idee sul mondo e sull'individuo, che sa essere cerebrale ma immaginifica come nel brano La vita liquida. Una voce che canta canzoni che hanno lo scopo di ricordarci chi siamo, come emerge dal brano intitolato Canzone contro la paura. Sì, perché a furia di viaggiare da un posto all'altro ci si può anche spersonalizzare e finire con l'applaudire il pilota all'atterraggio perché si è troppo attaccati alla vita, come in Lamezia Milano. E quindi bisogna un po' recuperare se stessi, La verità (titolo del bel brano d'apertura) è dura da ammettere ma il bel videoclip a tema natalizio che accompagna il singolo ci fornisce qualche spunto. I testi sono scritti, quasi tutti, con l'espediente del dialogo: un dialogo che può anche essere con se stessi. Alcuni brani potrebbero essere sanremesi (ma Brunori ha detto che a Sanremo non ci vuole andare), come L'uomo nero, che parla dell'impulso fascista che sembra essersi impossessato di tanti italiani e che potrebbe annidarsi dovunque, ad esempio sull'autobus quando si ha paura vedendo un giovane recitare il corano. Sanremesi sono anche gli arrangiamenti orchestrali, notevoli, di Diego e io. Unico brano, insieme a Colpo di pistola, che potrebbe un po' ricordare il Brunori che conoscevamo, in quanto a tematiche trattate, anche se la distanza è abissale per quanto riguarda il confronto tra l'odierna serietà e l'antica spensieratezza. L'album ha un po' il limite del precedente, cioè di ammorbidirsi nei toni e nei ritmi verso la fine, ma è giusto così, perché è un disco il cui tema è un po' quello dell'imbruttimento collettivo che ci porta ad abbandonarci ai nostri istinti primordiali, a sederci, a spegnerci (Sabato bestiale rende pienamente l'idea). Si perde quindi l'ironia, la leggerezza. Agli esordi, per intenderci, Brunori non avrebbe mai potuto fare una canzone cupa come Don Abbondio. Non sarebbe stato nel suo stile. Ora, invece, è necessità. Si diventa così quando il mondo reale è appiattito e appiattisce e, certo, ci si potrebbe rifugiare nella fantasia, nel mondo bambino del brano Il costume da torero. Però poi c'è la realtà e bisogna fare compromessi. Nel brano Secondo me Brunori dice tante verità, esprime tante sue teorie, tra cui la spaventosa attitudine del mondo occidentale a rimuovere il dolore, ma non è nemmeno quello l'importante, perché "chissà com'è invece il mondo visto da te". A casa tutto bene significa proprio questo. Ci sono le paure ma c'è anche il confronto. C'è qualcuno che ci aspetta a casa. Come nel brano finale, La vita pensata, in cui ci si illude credendo che del mondo, forse, non ci si capisce niente (perché in realtà, forse, si capisce anche più di quello che si vorrebbe capire) e quindi meglio lasciar perdere e rifugiarsi in quella casa in cui qualcuno ci sorriderà. Brava, quindi, tutta la squadra di Brunori Sas, che si è rifugiata nella masseria per vedere cosa ne poteva tirare fuori. Avete descritto la realtà per quello che è (ma si era capito subito, già dal video che accompagnava La verità) e non ci avete fregato, ci avete fatto riflettere anziché ridere. Marco Maresca
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