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16 giugno 2016

Lo Straniero: un tuffo tra synth e sonorità 80's nel disco d'esordio


Tra sinfonie elettro-pop e sonorità synth rock due voci risvegliano i cuori e mettono in ordine i pensieri. Queste voci sono quelle di Federica Addari e Giovanni Facelli che risvegliano davvero i cuori annebbiati e le menti annacquate dell’uomo di questo millennio come cantano ne L’ultima primavera, “ora lo sai che per amarsi non è mai troppo tardi”, facendoci anche ballare, cosa che non è da tutti. Gli alessandrini e astigiani Lo Straniero con il loro primo album tracciano un ponte tra musica d’autore ermetica e quasi futuristica e musica elettro-pop classica.

Il gruppo formato dalle due voci in questione più Valentina Francini (basso), Luca Francia (synth, piano, drum machine) e Francesco Seitone (chitarra) è in tour in tutta Italia e si dichiara provinciale, ma spesso la “provincialità” è un’arma vincente come in questo caso. Rimandi dell’epoca degli Ultravox!, di John Foxx, dei Depeche mode, Duran duran ma anche dei più recenti Arcade fire come pensiero creativo, come psicadelia dei B.R.M.C. e perfino al ritmo dei Subsonica degli inizi o degli Scisma del buon Benvegnù si intravedono. Le evocazioni made in 80’s pure, ma Lo Straniero si discosta dalle varie ere musicali e letterarie per formare il suo genere, si dissocia, diventa un pensiero unico e si estranea da tutta la massa musicale per ritornare ala sua entità, semplicemente: “Esistiamo, non servono interpretazioni” in Jet lag. Forse da qui il nome del gruppo Lo Straniero: ognuno è estraneo a se stesso ed in fondo anche estraneo agli altri. Rimango qui ha sfumature smithiane piacevoli e citazioni quasi pittoresche alla Dalì: “…quartieri appesi” e alla Lucio Fontana: “un taglio al passato”. Le tracce danno un’idea vaga, quasi distante, di una storia diversa dall’altra e di personaggi diversi l’uno dall’altro, ma tutte con il minimo comune denominatore del ritrovare la propria identità, una necessità di questi tempi, rischiosa sì, ma dovuta a noi stessi. In Sotto le palme di Algeri la strofa: “quando lascio gli affani, ritrovo me per pochi istanti, giusto il tempo per rendermene conto e di altre case ho di nuovo bisogno” rende l’idea di questa ricerca di noi stessi in noi stessi, nel nostro vissuto, per conoscere anche il resto del mondo esterno, con il conseguente continuo movimento di noi e degli altri. In Braccia ribelli la voce di Giovanni Facelli sembra assumere contorni alla Emilia paranoica di un altro Giovanni, Ferretti, e forse non solo il contorno ma anche la storia della stessa canzone sembra riportarci al fondatore del CCCP. “Mettiamo in ordine i pensieri tuoi, dacci il tempo e vedrai” è infine il monito della band, dategli tempo e vedrete! Un disco che potrebbe essere lanciato a livello internazionale ed essere lasciato in italiano, non tradotto in altre lingue perché già così sa il fatto suo. Anna Maria Russo

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