11 dicembre 2015

Passione maledetta. Finalmente il sogno di parlare (male) dei Modà

Sto realizzando una delle mie perversioni segrete. Sto scrivendo la recensione di un album dei Modà. Ma siccome ci sono voluti dieci anni per arrivare a farlo, voglio partire da lontano. Correva l'anno 2003. Nelle zone del milanese girava un EP intitolato Via d'uscita. Lo ascoltavamo tutti ed è vietato negarlo. Perché i Modà non erano la solita indie band. Erano dei rivoluzionari al contrario. Erano reazionari. Non condividevano l'ipocrisia del fare canzoni che parlassero di politica o di quanto andassero male le cose nel mondo. Volevano parlare del vissuto quotidiano e soprattutto di amore. Quell'amore romantico che è così difficile trasporre in musica senza fare delle gran figure di merda, ma a loro non importava.
Ne uscirono, artisticamente, con le ossa rotte per parecchio tempo. Ma in quell'EP c'era Favola. E tutti quelli della mia generazione sanno quella canzone a memoria. Tutti, trasversalmente, indipendentemente dalla condizione sociale e dal credo politico. Un giorno, ad esempio, verso la metà degli anni 2000, ero in centro a Milano e c'era una comitiva di punk con le creste, le birre in mano e i pastori tedeschi al seguito, erano ubriachi in pieno giorno e cantavano Favola a memoria. I Modà vissero fasi alterne perché dovevano trovare una forma, ma la trovarono nel 2011 con Viva i romantici. E' facile parlar male dei Modà ma prima bisognerebbe riuscire a fare un disco composto ed arrangiato come quello. Un disco che come quello riesca a far presa sull'ascoltatore, di ogni tipo. Anche a costo di essere presi in giro da tutti. Con quell'album i Modà entrarono prepotentemente nel mainstream e ai concerti gli spettatori passarono dalle decine alle migliaia. A quel punto la band lombarda avrebbe dovuto avere il coraggio di presentarsi come alternativa credibile alle ipocrisie di un cantautorato indie che vorrebbe ma non può e quindi sta in un angolo a rosicare. Ma Kekko Silvestre mette su famiglia ed ora vira verso i quarant'anni e si ritrova con il rimasuglio adolescenziale delle "k" nel nome a cantare ancora di violente e incontrollabili passioni adolescenziali in un modo non credibile per uno che ha moglie e figli.
Ne risulta un album patetico sotto tutti i punti di vista, intitolato Passione maledetta ed uscito per l'etichetta Ultrasuoni. Oltretutto non c'è neanche più il fido Enrico Palmosi ad occuparsi degli arrangiamenti. Al suo posto c'è Diego Calvetti e quindi l'album si assesta sui livelli delle altre sue produzioni: le varie Noemi, Bianca Atzei e tutte quelle altre merde che purtroppo tocca ascoltare quando accendiamo la radio.
A questo punto tocca fare una puntualizzazione, perché la cosa divertente non è parlare male dei Modà. Questo possono farlo tutti. Ma basta ascoltare il brano d'apertura, Ti passerà, per accorgerci che in quanto a struttura delle canzoni, a melodie varie, a tipologia del cantato, il pop-rock dei Modà non ha alcuna differenza stilistica con alcuni celebratissimi guru del cantautorato indie coetanei di Kekko Silvestre. Di uno in particolare potrei anche fare il nome, se non fosse che lo conosco di persona e poi mi toccherebbe chiedergli scusa. Il succo del discorso è che le tipologie espressive attuali in Italia sono le stesse sia che ci si chiami Modà sia che ci si chiami con un altro nome. Cambiano magari i numeri degli spettatori ai concerti, che nel secondo caso sono quelli dei Modà ai tempi in cui militavano nel sottobosco milanese. La colpa grave di Kekko e soci è stata che per uscire da quel giro rimarranno adolescenti a vita, ma con meno credibilità che in passato e con dischi sempre più orrendi. Salvo solo il brano Francesco perché mostra un minimo di vera introspezione. Il singolo E non c'è mai una fine non rimane dentro neanche se lo si ascolta cinquanta volte. Passione maledetta è invece per l'ennesima volta il solito brano standard dei Modà. Inaspettatamente, per un gruppo ultraconservatore come loro, cambia inaspettatamente nel ritornello, ma è veramente sempre la solita storia. Gli altri sei brani non sono menzionati nella recensione poiché sono veramente inutili. Ma li ho ascoltati più volte, giuro.
Ma non è questo il problema. Non sono i Modà il problema, e lo ripeterò all'infinito se serve. Il problema è che stilisticamente non c'è veramente differenza, ormai, tra i Modà e il resto. Ai primi tocca fare queste canzonette per restare saldamente appesi al carro del mainstream e mantenere figli e famiglia. E la loro strada per differenziarsi potrebbe essere diventare ancora più conservatori. Tornare ai primi del novecento e scrivere canzoni che piacerebbero anche alle bisnonne. Agli altri va peggio, perché vorrebbero trovare originalità nel mondo dell'indie ma di notte nella solitudine dei loro letti sognano in silenzio di emulare i Modà, ma una canzone d'amore non riusciranno mai a scriverla. Marco Maresca

Tracklist:
1. Ti passerà
2. E' solo colpa mia
3. E non c'è mai una fine
4. Francesco
5. California
6. Passione maledetta
7. Forse non lo sai
8. Doveva andar così
9. Che tu ci sia sempre
10. Stella cadente

3 commenti:

  1. Che più d'uno, nel cosiddetto indie, si rifaccia a certi moduli "standard", nonché a strategie promozionali da major, mi sembra difficile da negare. Per il resto il tuo articolo ha parecchi spunti interessanti, però secondo me senza la Ultrasuoni e la promozione radiofonica "dopata" sarebbero rimasti un gruppo "medio", non uno in grado di riempire per due sere di fila San Siro. Poi magari hai ragione tu, la mia è solo un'opinione.

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  2. La tua non è un'opinione qualunque ma un illustre parere che siamo onorati di avere. AsapFanzine

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